16 Mar Smart working, Covid e buoni pasto
L’emergenza sanitaria da COVID-19 ha portato alla ribalta una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che, nonostante fosse stata introdotta ormai da qualche anno (L. 81/2017) nel nostro Paese non si è mai diffusa più di tanto: lo smart working.
L’espandersi di tale fenomeno ha sollevato diversi dubbi in merito alla gestione del rapporto del lavoratore che svolge la propria attività in un luogo diverso dalla sede di lavoro.
Ad esempio, il datore di lavoro è tenuto a riconoscere il buono pasto al dipendente che lavora da casa?
In base alla L. 81/2017, il lavoratore che svolge la prestazione in smart working ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. In merito al predetto aspetto si deve evidenziare che, salva differente previsione della contrattazione collettiva applicata in azienda, a parere della Cassazione (sent. n. 16135/2020), il buono pasto deve essere inteso quale trattamento assistenziale e non retributivo.
Il datore di lavoro non è, pertanto, obbligato a riconoscere il buono pasto al lavoratore in smart working.
Assodato che, pertanto, il riconoscimento del buono pasto sarebbe il riconoscimento di una condizione di miglior favore da parte del datore di lavoro ci si domanda: il trattamento fiscale del buono pasto per il lavoratore in smart working gode delle stesse esenzioni rispetto al buono pasto del dipendente che lavora in sede?
A tal proposito è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, la quale, tramite la risposta ad Interpello n. 956-2631/2020, afferma che i buoni pasto, nei limiti indicati dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 51 del D.P.R. 917 /1986 restano esenti anche per i lavoratori in smart working.
Infatti, il Fisco da un lato ha precisato che la ratio sottesa al regime fiscale di cui all’articolo 51 del D.P.R. 197/1986 è ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni effettuate dal datore di lavoro collegate alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve poter consumare il pasto (Ris. AE n. 118/2006) dall’altro, richiamando il D.M. n. 122/2017, ha aggiunto che il buono pasto può essere corrisposto da parte del datore in favore dei dipendenti assunti, sia a tempo pieno che a tempo parziale, ivi incluse le ipotesi in cui l’articolazione dell’orario di lavoro non preveda una pausa per il pranzo.
Si desume pertanto che il buono pasto concesso al dipendente per le giornate di smart working non concorre alla formazione del reddito fiscale e contributivo nel rispetto dei limiti imposti dalla disposizione tributaria di riferimento (art. 51, c. 2, lett. c) del Tuir).