Vaccinazione e rapporto di lavoro

Da quando in Italia è iniziata la campagna vaccinale, la dottrina ha cominciato ad incentrare la sua attenzione sul tema dell’obbligo vaccinale e delle sue conseguenze sul rapporto di lavoro. Il dibattito è estremamente delicato e si può prestare a differenti interpretazioni. Ma facciamo una ricognizione normativa…

Il punto di partenza dev’essere la nostra carta costituzionale ed in questo senso, l’art. 32, afferma che nessun soggetto può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non in forza di una legge. Ad oggi, infatti, non esiste una disposizione che impone l’obbligo vaccinale. Ma ne siamo sicuri? E’ possibile ricavare un obbligo normativo dall’art. 2087 cc o dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.lgs 81/2008)? Il codice civile, indirettamente, impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che il progresso tecnologico e scientifico gli permettono al fine di tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore. Dal canto suo, il Testo Unico si occupa di disciplinare anche i rischi derivanti da esposizione ad agenti biologici, quali un Coronavirus. 

Tuttavia, bisogna riconoscere che un datore di lavoro non gestisce i tempi e le modalità di somministrazione del vaccino anti Covid e, allo stesso tempo, il lavoratore non è tenuto ad informare l’azienda su quali farmaci assume o a quali trattamenti sanitari si sottopone. Ancora, non tutte le mansioni impongono contatti con il pubblico o con i colleghi. Ulteriormente, l’adozione di DPI o di un layout organizzativo ad hoc potrebbero ridurre fortemente il rischio di contagio.

Ma allora è giusto parlare di obbligo generalizzato alla vaccinazione nel mondo del lavoro? E di conseguenza, il datore di lavoro in quale modo può intervenire? Al momento, fintanto che non sarà ben definita l’area all’interno della quale il vaccino possa considerarsi  indispensabile misura di prevenzione del rischio, il datore di lavoro dovrà, caso per caso, valutare se il rifiuto a vaccinarsi, pur avendone avuto la concreta possibilità, determini una inidoneità alla mansione. Da qui, una prima analisi di opportunità di collocare il lavoratore in smart working oppure, ove possibile, adibirlo a mansioni differenti. Se la strada fosse impraticabile, il datore di lavoro dovrà utilizzare lo strumento dell’aspettativa non retribuita, giustificata dalla temporanea inidoneità. Qualora quest’ultima si protraesse nel tempo, trasformandosi da temporanea a definitiva, il datore di lavoro si troverebbe nella condizione di valutare un possibile licenziamento.