Tempo determinato: causali si o causali no?

Il rapporto di lavoro a tempo determinato, la cui durata è prestabilita dalle parti attraverso l’apposizione per iscritto di un termine finale, è stato oggetto negli anni di varie evoluzioni.

Infatti il rapporto a termine, da sempre considerato (ingiustamente) foriero di precariato e di sfruttamento, è stato oggetto di numerose modifiche, specialmente per quanto riguarda l’obbligatorietà di porre in capo all’utilizzo di tale rapporto una motivazione particolare, atta a spiegare quale ragione spingesse il datore di lavoro ad utilizzare questo tipo di rapporto, invece di quello a tempo indeterminato (indicato dalla legge e, in specifico, dall’art. 1 del D.lgs. 81/2015, come la forma tipica del rapporto di lavoro).

Negli anni si sono susseguite norme liberalizzatrici e norme restrittive di questa tipologia contrattuale ma l’ultimo capitolo è stato scritto dal D.L. 87/2018 (il cosiddetto “Decreto Dignità”).

Tale Decreto ha modificato la previsione normativa previgente, introducendo l’obbligo in capo al datore di lavoro di apporre una causale tra quelle previste dallo stesso Decreto (esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività – esigenze di sostituzione di altri lavoratori – esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria) nel caso in cui il rapporto di lavoro a tempo determinato avesse durata superiore ai 12 mesi o nel caso in cui venisse riassunto a tempo determinato un lavoratore che nella sua vita lavorativa avesse già avuto con lo stesso datore di lavoro un rapporto a termine (cosiddetto rinnovo contrattuale).

Al di là della poca “dignità” racchiusa all’interno delle suddette causali, che non hanno di certo comportato un’esponenziale crescita dei rapporti a tempo indeterminato, la crisi portata dalla pandemia ha messo in evidenza l’inadeguatezza delle causali vedendo, dapprima con il D.L. 104/2020 (cosiddetto “D.L.Agosto”), e successivamente con la Legge di Bilancio 2021, una serie di deroghe, temporalmente limitate, per poter prorogare o rinnovare il rapporto di lavoro senza apporre una delle causali.

In particolare, la Legge di Bilancio 2021 ha esteso fino al 31 marzo 2021 la possibilità di prorogare o rinnovare i contratti a termine, per una sola volta e per un periodo non superiore ai 12 mesi, anche in deroga a quanto previsto in tema di causali (e di numero massimo di proroghe, ad oggi fissate a quattro) pur rimanendo la durata massima del rapporto di lavoro all’interno dei 24 mesi.

Anche questa volta sorgono purtroppo dei dubbi in merito a tale disposizione poiché c’è chi ritiene che, ove la facoltà di proroga/rinnovo acausale sia già stata utilizzata ai sensi del “D.L. Agosto” (che permetteva di poter sottoscrivere proroghe o rinnovi acausali per una sola volta entro il 31 dicembre 2020), data la dicitura “per una sola volta” che accompagna la possibilità di non utilizzare le causali, non sia più possibile di avvalersi della deroga normativa e si debba far ritorno al “vecchio sistema” .

Non si può a questo punto che confidare che il legislatore inizi a ravvedere l’inutilità e la macchinosità delle causali, adottando, per una volta, un provvedimento che vada effettivamente incontro al mondo del lavoro eliminando le famigerate causali.