Rivalutazione di partecipazioni e cessioni con clausole di earn-out

In tema di contratti di cessione di partecipazioni societarie, accade sempre più spesso che il corrispettivo si articoli in due componenti: la prima, quale parte fissa del prezzo e predeterminata al momento del closing dell’operazione e la seconda, variabile in funzione solitamente di taluni parametri economico-patrimoniali raggiunti di volta in volta dalla società, in un arco di tempo prestabilito. E’ il cosiddetto “earn-out”, uno strumento contrattuale frequentemente utilizzato da un lato allo scopo di trasferire sul venditore, almeno in parte, il rischio legato al realizzarsi di eventi futuri, ma che allo stesso tempo premia il capital gain in caso di cessioni di partecipazioni in aziende virtuose ed in crescita. L’obiettivo è dunque quello di ridurre per l’acquirente la componente di incertezza insita nell’investimento e contemporaneamente di favorire il venditore nelle sue aspettative di redditività futura.

Ma cosa accade dal punto di vista fiscale nel caso in cui le partecipazioni cedute siano state oggetto di rivalutazione e, in particolare, quando il nuovo valore “affrancato” risulta superiore alla parte fissa del corrispettivo, laddove la parte variabile viene incassata in uno o più esercizi successivi.

E’ noto infatti che quando il pagamento del prezzo avviene in modo dilazionato, anche in periodi d’imposta differenti, il capital gain  realizzato dal venditore risponde sempre a criteri di cassa.
Inoltre, poiché la rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni non consente il realizzo di minusvalenze deducibili si potrebbe essere indotti a pensare che in caso di differenziale negativo fra costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione e corrispettivo fisso percepito, si configuri dapprima una minusvalenza fiscalmente irrilevante e successivamente, al realizzo dell’earn-out in un diverso esercizio di imposizione, una plusvalenza da assoggettare a tassazione con le regole ordinarie.

L’Amministrazione finanziaria, tuttavia, è intervenuta già nel 2021 con la risposta ad Interpello n. 782 e la Risoluzione n. 74 al fine di chiarire, anche dal punto di vista degli adempimenti dichiarativi, come debbano coordinarsi le clausole contrattuali di earn-out con quelle fiscali legate alla rivalutazione delle partecipazioni societarie.

Prima di tutto l’Agenzia Entrate ha puntualizzato che la plusvalenza si realizza, ai fini dell’individuazione del regime di tassazione applicabile, al momento del closing, e tale sarà il regime da applicare in ciascun periodo d’imposta in cui si realizza l’incasso del corrispettivo, sia quello fisso che quello variabile.

Inoltre l’Agenzia ha chiarito che, al fine di evitare che il pagamento dilazionato del prezzo di cessione determini fenomeni di doppia imposizione, il corrispettivo complessivamente percepito, comprensivo sia della parte fissa che di quella variabile, non deve essere ulteriormente assoggettato a tassazione.

A tal fine essa ha fornito ulteriori indicazioni per la corretta esposizione dei corrispettivi percepiti nel quadro RT del Modello redditi, specificando che nel periodo d’imposta di incasso della componente fissa, qualora l’importo sia inferiore al valore di rivalutazione della partecipazione, dovrà essere indicato come “costo” il medesimo valore di quanto percepito e non il valore globale della rivalutazione. Nei periodi d’imposta successivi, in caso si verifichi l’incasso anche della parte variabile, si dovrà calcolare l’eccedenza di “costo” non utilizzato rispetto alla rivalutazione complessiva e indicare nella colonna 3 del Rigo RT22 “totale dei costi o valori di acquisto” la differenza tra il valore rideterminato e quello nei quadri RT dei precedenti periodi d’imposta.

Di conseguenza è evidente che il corrispettivo globale della cessione (parte fissa + variabile) non verrà ulteriormente tassato fino a concorrenza dell’importo oggetto di rivalutazione.