Ma l’erede risponde dei debiti tributari del De Cuius?

La risposta è affermativa.

Ma facciamo un passo indietro. Nel nostro ordinamento, al momento di apertura della successione, cioè alla morte del de cuius, i successori non possono ancora essere chiamati eredi. Essi sono semplicemente chiamati all’eredità e hanno a loro disposizione un certo periodo di tempo entro cui possono, se lo desiderano e/o se gli conviene, accettare l’eredità a essi devoluta. Solo in caso di accettazione dell’eredità i chiamati acquisiranno la qualità di eredi.

La ragione deriva dal fatto che l’erede risponde anche di tutti i debiti che gravano sul defunto. Difatti, si parla di successione a titolo universale, proprio perché l’erede subentra nella totalità dei rapporti giuridici che facevano capo alla persona della cui eredità si tratta (beneficiando dell’attivo, ma anche rispondendo del passivo).

Da ciò ne consegue che, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate agisca nei confronti dell’erede per debiti tributari, sarà lo stesso ente a dover provare l’assunzione della qualità di erede, la quale per l’appunto non può desumersi dalla semplice chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso. Avrà il diritto di pretendere il pagamento dei debiti solo da chi ha accettato l’eredità, sia essa avvenuta in modo espresso che tacito.

La Cassazione, nella sentenza n. 9186/2022, ha espresso il seguente principio “l’accettazione dell’eredità è elemento costitutivo del diritto alla riscossione dei debiti tributari del de cuius nei confronti del soggetto accertato nella predetta qualità di erede”.