È orario di lavoro la reperibilità se riduce il tempo libero

L’obbligo di reperibilità si qualifica come orario di lavoro solo qualora sussistano vincoli tali da pregiudicare in maniera significativa la capacità di gestire il tempo libero; tale pregiudizio non ricorre se le difficoltà organizzative derivano da fattori naturali o da scelte del lavoratore. 

La Corte di giustizia europea, con due distinte sentenze, fornisce un importante chiarimento circa la qualificazione giuridica dell’istituto della reperibilità.

Nelle due cause (la prima intentata in Slovenia da un tecnico incaricato di assicurare il funzionamento di centri di trasmissione televisiva situati in zone montane, il quale dopo aver terminato l’orario di lavoro ordinario doveva garantire 6 ore al giorno di reperibilità; la seconda in Germania da parte di un pompiere), entrambi i lavoratori ritenevano che, a causa delle restrizioni previste, i loro periodi di reperibilità dovessero essere riconosciuti, nella loro interezza, come orario di lavoro ed essere remunerati di conseguenza, indipendentemente dal fatto che essi avessero svolto o no un lavoro concreto durante tali periodi. 

La Corte di giustizia europea ha rigettato queste richieste, pur stabilendo il principio che il periodo di reperibilità deve essere qualificato come orario di lavoro nel caso in cui l’addetto abbia l’obbligo di restare sul suo luogo di lavoro, distinto dal suo domicilio, e di rimanere a disposizione del datore.