Dipendenti che rifiutano il vaccino: primi indirizzi giurisprudenziali

A più di un anno dall’inizio della pandemia, l’argomento più diffuso oggi è sempre e solo uno: il vaccino.

Tra le opinioni più o meno accreditate di chi si vaccinerebbe senza pensarci un secondo e chi ritiene che i rischi superino di gran lunga i benefici, ci si è più volte interrogati in merito all’impatto che la facoltà (non obbligo) di vaccinarsi avrebbe avuto sul mondo del lavoro.

Un primo indirizzo arriva dal Tribunale di Belluno, dove due dipendenti di una RSA si sono appellati al giudice di merito poiché, dopo essersi rifiutate di sottoporsi alla vaccinazione, sono state poste “forzatamente” in ferie dal datore di lavoro, inibendone il relativo ingresso sul luogo di lavoro.

Il giudice ha respinto il ricorso delle due lavoratrici, che chiedevano la riammissione in servizio.

La ragione su cui si poggia l’ordinanza del giudice è il dovere in capo al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti (come previsto dall’art. 2087 c.c.) considerando il vaccino come mezzo idoneo a preservare le lavoratrici dagli effetti negativi della malattia, arrivando nell’ordinanza a citare delle positive esperienze internazionali di massiccia somministrazione del vaccino (il Tribunale cita espressamente Israele e gli Stati Uniti).

La vaccinazione in Italia è ad oggi mera facoltà in quanto si è deciso di non renderla obbligatoria, in ossequio alla libertà di scelta, che tanto teniamo a vedere tutelata.

Il tribunale di Belluno ha deciso di lanciare un segnale volto a ribadire che, seppur sia vero che nessuno può essere forzato a vaccinarsi, esistono dei soggetti che, per legge, sono considerati responsabili della salute di altri.

Se il datore di lavoro non adottasse “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro” potrebbe essere, per assurdo, tacciato di negligenza dai familiari di un soggetto che, avendo esercitato il proprio diritto di scelta, non si fosse vaccinato e fosse deceduto o avesse patito delle lesioni alla propria integrità psicofisica a causa degli effetti più negativi del virus COVID-19, contratto sul luogo di lavoro.

Ci si domanda ora se l’ottemperanza all’articolo 2087 c.c., che nel suddetto caso ha prevalso sull’interesse del lavoratore ad usufruire delle proprie ferie in un periodo diverso, possa spingersi anche oltre, portando fin anche al licenziamento dei lavoratori che siano “impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al luogo di lavoro” e rifiutino il vaccino.