COVID-19: infortunio o malattia?

Di questi tempi, sempre più spesso, datori di lavoro e lavoratori si sono trovati a doversi rapportare con questo quesito: il caso di un dipendente positivo andrà trattato come infortunio o come malattia?

L’INAIL, tramite la nota del 17 marzo 2020, ha chiarito che si tratta di infortunio sul lavoro (non malattia professionale, come sottolineato dall’Istituto stesso) quando l’infezione derivi da “causa virulenta”, ossia quando sia accertato il nesso causale tra prestazione di lavoro e “positivizzazione” del dipendente.

Dimostrare tale nesso causale è certamente un’ardua pratica poiché, anche nel caso in cui ci fossero due lavoratori positivi nello stesso ufficio, anche se gli stessi lavorassero tutta la giornata lavorativa l’uno di fronte all’altro, non sarebbe in ogni caso possibile dimostrare una causalità diretta tra stato morboso e prestazione lavorativa, in quanto entrambi potrebbero essere entrati in contatto con il virus in un qualsiasi altro momento o luogo che avessero frequentato (supermercato, scuola del figlio, casa propria, ecc.).

L’INAIL chiarisce che ci sono dei lavoratori (il personale medico/sanitario ad esempio) per i quali vige una sorta di presunzione specifica, atta a dirimere i dubbi in merito alla contrazione del virus avvenuta in occasione dello svolgimento della prestazione lavorativa.

Tali lavorazioni sono contenute all’interno della circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020.

Un possibile problema si riscontra nella natura della comunicazione di infortunio che infatti ha delle rigide tempistiche entro le quali è necessario che venga effettuata (due giorni dal ricevimento degli estremi del certificato superati i quali si è passibili di sanzione).

In alternativa all’infortunio, il cosiddetto “Decreto Cura Italia” (articolo 26, comma 1, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) riconosce ai lavoratori malati COVID una tutela anche senza dover dimostrare che l’infezione è avvenuta sul luogo di lavoro.

Tale tutela è riconosciuta tramite l’INPS, il quale copre i lavoratori contagiati o i lavoratori ai quali sia stato imposto dall’ASL l’isolamento (per essere entrati in contatto con un soggetto positivo ad esempio) attraverso la tutela previdenziale della malattia.

Infatti, in questo caso, l’unico obbligo che sussiste è quello in capo al dipendente che dovrà contattare il proprio medico di base e farsi rilasciare apposito certificato medico.

Attenzione però.

L’INPS ha specificato che per i soggetti in isolamento, i soggetti positivi al COVID-19 ma asintomatici o comunque soggetti in grado di lavorare, che prestino la propria attività lavorativa da casa (smart working), non è previsto il riconoscimento della malattia (messaggio INPS n. 3653/2020).