SRL e prelievi, quando preferire la distribuzione di utili al compenso amministratore

Nella valutazione della convenienza fra le due modalità di prelievo in ambito di SRL sono molteplici gli aspetti da tenere in considerazione.

Possiamo partire da una costante, ovvero la tassazione complessiva in caso distribuzione di dividendi, e ciò in quanto essa è pari attualmente al 43,76%, percentuale data dall’aliquota ires al 24% sul reddito della società, cui si somma l’ulteriore tassazione in capo al socio percettore con imposta sostitutiva del 26%.

Naturalmente tale ipotesi si fonda sulla premessa che gli utili oggetto di distribuzione ai soci provengano da riserve formate a partire dagli esercizi successivi a quello chiuso al 31.12.2017. In caso contrario si ricadrebbe nella disciplina transitoria valida per le distribuzioni fino al 31.12.2022, ipotesi che qui tralasciamo.

Detto questo e considerando le nuove aliquote irpef in vigore dal 2022, per le quali già si applica il 43% per redditi superiori a € 50.000, si può ben intuire che in caso di compensi attribuiti all’amministratore per importi contenuti ci possa essere un vantaggio in termini di prelievo complessivo e sempre che l’amministratore non goda di altri redditi, cui inevitabilmente il compenso amministratore andrebbe a sommarsi, scontando l’aliquota irpef prevista per lo scaglione più alto.

Si tenga conto che, per prelievo complessivo è da intendersi quello correlato non solo ad irpef e addizionali, ma anche alla contribuzione inps che nella Gestione separata (in cui rientrano i compensi agli amministratori non titolari di p.iva) è pari al 33,72% di cui un terzo a carico dell’amministratore e due terzi a carico dell’azienda, o eventualmente al 24% in caso l’amministratore sia già provvisto di iscrizione ad altra forma pensionistica obbligatoria.

Non si trascuri poi il fatto che in molti casi nelle srl, a seconda del tipo di attività svolta, il socio-amministratore deve essere iscritto anche alla gestione artigiani-commercianti, cui contribuisce in base al reddito prodotto dalla società imputato in misura corrispondente alla propria quota di partecipazione. Ne deriva, pertanto, che in tali ipotesi la doppia contribuzione gestione separata / artigiani-commercianti può rappresentare un vero e proprio salasso.

Naturalmente, fra tutte queste considerazioni, dobbiamo anche valutare il risparmio in termini di ires in capo alla società che sostiene il costo per compensi attribuiti all’amministratore.

Difficile dunque stabilire una regola o una soglia di reddito che faccia da spartiacque per individuare il più conveniente fra prelievo di utili e attribuzione di un compenso al socio-amministratore.

Ogni caso va valutato sulla base di dati reali e tenendo conto di molteplici esigenze, diverse per ogni azienda e per i propri soci, che non sono solo quelle tese a ridurre il più possibile la tassazione complessiva.

Pensiamo ad esempio al fatto che per il socio-amministratore può essere preferibile il compenso amministratore, in quanto gli garantisce un flusso di reddito costante, senza dover attendere la distribuzione di dividendi che spesso si rende possibile solo dopo l’approvazione del bilancio.  Inoltre, in assenza di altra copertura previdenziale, il socio-amministratore può così maturare un’anzianità contributiva e relativi requisiti pensionistici.

Diversamente, vi sono società in cui è preferibile non appesantire i costi della produzione, ma favorire il conseguimento di risultati d’esercizio più elevati. Ciò in relazione all’esigenza di salvaguardare i propri rapporti con Istituti di credito o anche per migliorare il proprio appeal in vista di future cessioni d’azienda o di quote da parte dei soci.